Certi personaggi politici sono i veri istigatori della violenza. Bisognerebbe fare molta attenzione prima di lanciare messaggi di biolenza e ignoranti come Massimo Tartaglia potrebbero ripetere azioni di questo tipo. Siete sicuri che vorreste al governo qualcuno come Di Pietro? Sarebbe, comunque, una vergogna per l'Italia.
Solo qualche giorno fa:
«Se il governo continua a essere sordo ai bisogni dei cittadini, si andrà allo scontro di piazza. Ci scapperà l’azione violenta se il governo non si assume la responsabilità di rispondere ai bisogni del Paese» (Antonio Di Pietro). «Se Berlusconi va avanti a strappi, credo si troverà davanti una reazione dura» (Pierluigi Bersani). Difficile capire se quelli del leader di Italia dei valori e del segretario del Partito democratico siano allarmi. Oppure, come hanno accusato ieri diversi esponenti del Pdl riferendosi a Di Pietro, affermazione «al limite dell’eversione»; la dimostrazione che il movimento dell’ex Pm vuole «sovvertire il voto» con la piazza.
Fatto sta che ieri - sulla scia di uno sciopero del pubblico impiego indetto dalla sola Cgil e al quale ha aderito meno del 10 per cento dei lavoratori di Stato, enti e scuola - è andato in scena un tentativo di rianimare il conflitto sociale.
Tutto parte dallo sciopero degli statali. Le cifre della giornata sono queste: il principale sindacato del Paese ha dichiarato di avere fatto sfilare a Roma, Milano e Napoli almeno 180mila lavoratori della Funzione pubblica e ha rivendicato adesioni tra il 50 e il 60 per cento (parole del segretario generale della Fp Cgil, Carlo Podda). Le stime del ministero della Funzione pubblica, che per legge deve raccoglie in diretta i dati, sono molto diverse. Meno del 9,45 per cento di scioperanti, con il picco massimo negli enti di ricerca (14,45 per cento) e il minimo (4,24 per cento) nella Sanità. «Uffici pieni, scuole piene e piazze vuote», ha sintetizzato a fine giornata Renato Brunetta.
Senza contare la beffa dei soldi che il primo sindacato ha «regalato» al governo grazie alle trattenute in busta paga: circa tre milioni di euro. Contraddizione che non è sfuggita agli altri sindacati, infuriati con la Cgil che ha indetto uno sciopero su una vertenza che, a loro giudizio, sta andando avanti regolarmente. «Perché - chiedeva ieri il segretario confederale della Cisl Gianni Baratta - far spendere soldi inutili ai lavoratori prima ancora di aver presentato piattaforme e con il governo che, non più tardi di ieri, ha confermato il suo impegno a reperire tutte le risorse necessarie per il rinnovo contrattuale?».
Le ragioni dello sciopero le ha spiegate il segretario generale Guglielmo Epifani parlando dal palco del corteo romano: «La nostra è una manifestazione esclusivamente e profondamente confederale e sindacale, ha obiettivi sindacali e certamente politici, perché in ballo c’è il futuro di milioni di persone e l’avvenire del nostro Paese». Uno sciopero per il contratto, i precari, ma anche in difesa della Costituzione. In sostanza una mobilitazione contro il governo «che non dà risposte a nessuno».
Protesta in linea con le posizioni del Pd, impegnato in questi giorni nelle 1.000 piazze contro il governo e impegnato a valutare un’altra manifestazione contro il governo. E non è un caso che, in questa situazione, Epifani si sia rivolto ai pubblici dipendenti. Nonostante la crisi e i movimenti di palazzo, questi non sembrano essere tempi favorevoli ai conflitti. Il Censis nell’ultimo rapporto sulla situazione dell’Italia ha registrato nel 2008 un calo generalizzato delle proteste e degli scioperi nei luoghi di lavoro. Calano i conflitti, ma, soprattutto, diminuiscono i lavoratori disposti a partecipare alle proteste. Dagli 882mila del 2007 ai 667 dell’anno successivo. Il calo diventa un crollo tra gli operai. La partecipazione agli eventi conflittuali dei metalmeccanici si è sgonfiata da 514mila a 193mila. L’unica categoria che ancora punta su scioperi e manifestazioni è quella degli statali, con una partecipazione che è salita da 153mila a 206mila. Dati che ricalcano le più recenti indagini sugli orientamenti politici dei lavoratori dipendenti che ormai assegnano al centrosinistra il primato solo tra i pubblici. Insomma, se, come teme Di Pietro, ci saranno «milioni di cittadini esasperati» che si daranno alle violenze di piazza non potranno essere che travet e insegnanti.
Fatto sta che ieri - sulla scia di uno sciopero del pubblico impiego indetto dalla sola Cgil e al quale ha aderito meno del 10 per cento dei lavoratori di Stato, enti e scuola - è andato in scena un tentativo di rianimare il conflitto sociale.
Tutto parte dallo sciopero degli statali. Le cifre della giornata sono queste: il principale sindacato del Paese ha dichiarato di avere fatto sfilare a Roma, Milano e Napoli almeno 180mila lavoratori della Funzione pubblica e ha rivendicato adesioni tra il 50 e il 60 per cento (parole del segretario generale della Fp Cgil, Carlo Podda). Le stime del ministero della Funzione pubblica, che per legge deve raccoglie in diretta i dati, sono molto diverse. Meno del 9,45 per cento di scioperanti, con il picco massimo negli enti di ricerca (14,45 per cento) e il minimo (4,24 per cento) nella Sanità. «Uffici pieni, scuole piene e piazze vuote», ha sintetizzato a fine giornata Renato Brunetta.
Senza contare la beffa dei soldi che il primo sindacato ha «regalato» al governo grazie alle trattenute in busta paga: circa tre milioni di euro. Contraddizione che non è sfuggita agli altri sindacati, infuriati con la Cgil che ha indetto uno sciopero su una vertenza che, a loro giudizio, sta andando avanti regolarmente. «Perché - chiedeva ieri il segretario confederale della Cisl Gianni Baratta - far spendere soldi inutili ai lavoratori prima ancora di aver presentato piattaforme e con il governo che, non più tardi di ieri, ha confermato il suo impegno a reperire tutte le risorse necessarie per il rinnovo contrattuale?».
Le ragioni dello sciopero le ha spiegate il segretario generale Guglielmo Epifani parlando dal palco del corteo romano: «La nostra è una manifestazione esclusivamente e profondamente confederale e sindacale, ha obiettivi sindacali e certamente politici, perché in ballo c’è il futuro di milioni di persone e l’avvenire del nostro Paese». Uno sciopero per il contratto, i precari, ma anche in difesa della Costituzione. In sostanza una mobilitazione contro il governo «che non dà risposte a nessuno».
Protesta in linea con le posizioni del Pd, impegnato in questi giorni nelle 1.000 piazze contro il governo e impegnato a valutare un’altra manifestazione contro il governo. E non è un caso che, in questa situazione, Epifani si sia rivolto ai pubblici dipendenti. Nonostante la crisi e i movimenti di palazzo, questi non sembrano essere tempi favorevoli ai conflitti. Il Censis nell’ultimo rapporto sulla situazione dell’Italia ha registrato nel 2008 un calo generalizzato delle proteste e degli scioperi nei luoghi di lavoro. Calano i conflitti, ma, soprattutto, diminuiscono i lavoratori disposti a partecipare alle proteste. Dagli 882mila del 2007 ai 667 dell’anno successivo. Il calo diventa un crollo tra gli operai. La partecipazione agli eventi conflittuali dei metalmeccanici si è sgonfiata da 514mila a 193mila. L’unica categoria che ancora punta su scioperi e manifestazioni è quella degli statali, con una partecipazione che è salita da 153mila a 206mila. Dati che ricalcano le più recenti indagini sugli orientamenti politici dei lavoratori dipendenti che ormai assegnano al centrosinistra il primato solo tra i pubblici. Insomma, se, come teme Di Pietro, ci saranno «milioni di cittadini esasperati» che si daranno alle violenze di piazza non potranno essere che travet e insegnanti.
3 comentarios:
godo :)
E' la seconda volta che lo aggrediscono: ne ha combinate troppe, deve andarsene !!!!!
C'è poco da godere. I fascisti sono proprio quelli che si comportano così. Violenti e bastardi. Viva Berlusconi.
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