L'ingiustizia e la repressione sociale sono cosa di tutti i giorni, ormai, in Venezuela, o Venecuba, come vogliamo chiamarla. Il Caudillo, il dittatore ha fatto piazza pulita di qualsiasi elemento vicino alla democrazia. In Venezuela, come in Iraq a suo tempo, come in Romania ai tempi di Ceaucescu non si può pensare, parlare, esprimere le proprie idee.
E' diventato un paese orrendo, un posto dove si respira repressione.
Non c'è un comunista che, visitando il Venezuela, non abbia capito che siamo di fronte a una dittatura soffocante. Non esistono colori in questo.
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Il nuovo socialismo del Terzo millennio di Hugo Chavez mostra ancora una volta il suo vero volto. Con l’approssimarsi delle elezioni politiche in Venezuela del prossimo settembre il Caudillo di Caracas stringe la morsa su media e dissidenti minando le fondamenta di una libertà di stampa già ampiamente compromessa dalle repressioni interne. Le prossime elezioni che il “presidentissimo” tenta di anticipare – forzando la mano – per arginare la perdita di consensi (nonostante le nazionalizzazioni, il governo si è dimostrato incapace ridistribuire ricchezza e benessere a favore delle fasce più bisognose del Paese) vedranno di nuovo protagonista l’opposizione dopo una legislatura passata inopinatamente sull’Aventino.
Chavez minaccia esplosioni di violenza popolare se il PSUV, il suo partito, non raggiungerà almeno il 75% dei seggi. Nulla di nuovo, quindi, all’ombra dell’ultimo sol dell’avvenire. Come ai tempi della Unione Sovietica di Breznev, il dissenso viene soffocato con il ricorso alle cospirazioni esterne, alla violenza ed ai processi farsa in cui gli oppositori finiscono in prigione. Nel frattempo le violazioni dei diritti umani oltrepassano il limite del consentito anche se gli allarmi lanciati dalle organizzazioni per la tutela dei diritti umani finiscono per perdersi nel calderone mass mediatico internazionale.
L’attenzione dell’opinione pubblica venezuelana democratica si concentra, ed è sconcertata, da casi come quello di Gustavo Azocar, professore universitario e giornalista a Tàchira, Stato venezuelano dove sin dal 2000 si è cominciato a criticare Chavez, attaccando il Governatore allineato al Presidente, Ronald Blanco La Cruz, che Azocar accusa di favore la presenza delle FARC sul territorio (le milizie terroriste di stampo social comunista che combattono il governo colombiano). Il risultato è la violenza, verbale e fisica fino a qualche pallottola sparata contro la macchina dello stesso Azocar.
Azocar viene anche aggredito nel corso del suo show televisivo da una sostenitrice del movimento chavista, l’evento rimbalza sui media nazionali, dove dall’alto delle sue sei ore di diretta giornaliera su ormai quasi tutti i canali televisivi (quelli non allineati sono stati oscurati oppure potrebbero esserlo presto) il Presidente benedice l’accaduto. Ma Azocar non si ferma facilmente. Nel dicembre del 2000 il procuratore generale di Tàchira apre una indagine a suo carico per un presunto caso di corruzione legato a un contratto pubblicitario di uno spot de la Lòteria passato in una radio di cui Azocar era il manager. Il giornalista viene indagato sebbene non sia mai stato protagonista di alcuna transazione o abbia ricevuto alcun denaro.
Comincia l’odissea giudiziaria ma l’inchiesta non porta a nulla nonostante la carcerazione prima ancora che fossero precisati i capi d’imputazione. Raggiunta l’evidenza della nullità di qualsiasi reato commesso da Azocar su questo filone di inchiesta, la procura di Tàchira ne apre subito un’altra, sempre per il reato di corruzione e frode per contratti pubblicitari, ancora con Lòteria, sottoscritti da un’altra azienda questa volta di sua proprietà.
Delle indagini a suo carico Azocar viene a sapere solamente nel novembre del 2006. Così dopo nove anni di inutili indagini e tentativi di incastrarlo l’uomo viene rinviato a giudizio nel maggio del 2009 e finisce senza tanti complimenti in carcere, in attesa di giudizio, il 29 luglio. La pubblica accusa utilizza tecniche dilatorie per allungarne il tempo dell’immotivato soggiorno in prigione, così il processo non si tiene come previsto l’11 settembre ma viene rimandato al 5 ottobre. Nello stesso mese di ottobre anche questa accusa decade nonostante il giudizio sia rimasto sospeso e sia stato grottescamente rinviato. Infine la revoca inspiegabile e di autorità dei giurati, avvenuta lo scorso gennaio. Azocar è tuttora in prigione non si sa bene per quale motivo, anzi si sa benissimo: è un nemico politico del Presidente Hugo Chavez.
E’ solo l’ennesima vittima della stretta del regime sedimentatosi a Caracas che negli ultimi dieci anni ha messo sotto processo più di 150 giornalisti e continua costantemente a lavorare per minare la libertà di stampa e intimorire l’opposizione studentesca. Con Azocar in carcere, privato dei più elementari diritti di cittadinanza senza che una voce che una si sia alzata a protestare, in Venezuela non finisce solo il giornalismo più coraggioso e la libertà di stampa, ma una difesa dignitosa – foss’anche solo ideale – dei valori democratici da parte della comunità internazionale. Nessuno scandalo però, tanto si sa che a spendere una parola o a difendere un Azocar qualsiasi non si vince il Premio Nobel per la pace.
(articolo di Giampiero Ricci)
Chavez minaccia esplosioni di violenza popolare se il PSUV, il suo partito, non raggiungerà almeno il 75% dei seggi. Nulla di nuovo, quindi, all’ombra dell’ultimo sol dell’avvenire. Come ai tempi della Unione Sovietica di Breznev, il dissenso viene soffocato con il ricorso alle cospirazioni esterne, alla violenza ed ai processi farsa in cui gli oppositori finiscono in prigione. Nel frattempo le violazioni dei diritti umani oltrepassano il limite del consentito anche se gli allarmi lanciati dalle organizzazioni per la tutela dei diritti umani finiscono per perdersi nel calderone mass mediatico internazionale.
L’attenzione dell’opinione pubblica venezuelana democratica si concentra, ed è sconcertata, da casi come quello di Gustavo Azocar, professore universitario e giornalista a Tàchira, Stato venezuelano dove sin dal 2000 si è cominciato a criticare Chavez, attaccando il Governatore allineato al Presidente, Ronald Blanco La Cruz, che Azocar accusa di favore la presenza delle FARC sul territorio (le milizie terroriste di stampo social comunista che combattono il governo colombiano). Il risultato è la violenza, verbale e fisica fino a qualche pallottola sparata contro la macchina dello stesso Azocar.
Azocar viene anche aggredito nel corso del suo show televisivo da una sostenitrice del movimento chavista, l’evento rimbalza sui media nazionali, dove dall’alto delle sue sei ore di diretta giornaliera su ormai quasi tutti i canali televisivi (quelli non allineati sono stati oscurati oppure potrebbero esserlo presto) il Presidente benedice l’accaduto. Ma Azocar non si ferma facilmente. Nel dicembre del 2000 il procuratore generale di Tàchira apre una indagine a suo carico per un presunto caso di corruzione legato a un contratto pubblicitario di uno spot de la Lòteria passato in una radio di cui Azocar era il manager. Il giornalista viene indagato sebbene non sia mai stato protagonista di alcuna transazione o abbia ricevuto alcun denaro.
Comincia l’odissea giudiziaria ma l’inchiesta non porta a nulla nonostante la carcerazione prima ancora che fossero precisati i capi d’imputazione. Raggiunta l’evidenza della nullità di qualsiasi reato commesso da Azocar su questo filone di inchiesta, la procura di Tàchira ne apre subito un’altra, sempre per il reato di corruzione e frode per contratti pubblicitari, ancora con Lòteria, sottoscritti da un’altra azienda questa volta di sua proprietà.
Delle indagini a suo carico Azocar viene a sapere solamente nel novembre del 2006. Così dopo nove anni di inutili indagini e tentativi di incastrarlo l’uomo viene rinviato a giudizio nel maggio del 2009 e finisce senza tanti complimenti in carcere, in attesa di giudizio, il 29 luglio. La pubblica accusa utilizza tecniche dilatorie per allungarne il tempo dell’immotivato soggiorno in prigione, così il processo non si tiene come previsto l’11 settembre ma viene rimandato al 5 ottobre. Nello stesso mese di ottobre anche questa accusa decade nonostante il giudizio sia rimasto sospeso e sia stato grottescamente rinviato. Infine la revoca inspiegabile e di autorità dei giurati, avvenuta lo scorso gennaio. Azocar è tuttora in prigione non si sa bene per quale motivo, anzi si sa benissimo: è un nemico politico del Presidente Hugo Chavez.
E’ solo l’ennesima vittima della stretta del regime sedimentatosi a Caracas che negli ultimi dieci anni ha messo sotto processo più di 150 giornalisti e continua costantemente a lavorare per minare la libertà di stampa e intimorire l’opposizione studentesca. Con Azocar in carcere, privato dei più elementari diritti di cittadinanza senza che una voce che una si sia alzata a protestare, in Venezuela non finisce solo il giornalismo più coraggioso e la libertà di stampa, ma una difesa dignitosa – foss’anche solo ideale – dei valori democratici da parte della comunità internazionale. Nessuno scandalo però, tanto si sa che a spendere una parola o a difendere un Azocar qualsiasi non si vince il Premio Nobel per la pace.
(articolo di Giampiero Ricci)
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