Mentre Joaquín Cortés parla, sembra ballare. Accompagnato da un italiano musicato in spagnolo, muove le mani con gesti precisi, solleva le braccia, batte i piedi. Approfittando di una breve visita in Italia, lo abbiamo intervistato presso l'hotel Seven Stars Galleria di Milano, e abbiamo assistito a uno spettacolo di grazia e intelligenza.
Stai presentando a Madrid il tuo ultimo spettacolo, Calé (Gitano). Di che si tratta?
È un riassunto della mia carriera, un viaggio nel passato. Dopo vent’anni mi sono chiesto: da dove vengo? dove sono arrivato? Così ho raccolto sei spettacoli e li ho rivisitati, inserendoli in Calé, che porterò presto anche qui.
Contamini il flamenco con danza classica e moderna.
Il flamenco è una cosa, la mia versione un'altra. Ho sempre cercato uno stile personale, mixando gli stili, usando gospel, jazz, araba, latina. Il flamenco purista è il mio dna culturale, ma ne ho tratto una cosa nuova. Ora sono molti i seguaci del flamenco fusion. Nella storia del flamenco, credo ci sia un prima e un dopo Cortés.
Cosa significa questa danza per te?
È un modo di sentire e comunicare. Attraverso l'espressione corporale passo una visione del mondo. È una forma di vita, per questo varia nel tempo. Modificando il flamenco ho voluto creare un discorso universale, facendolo uscire dalla nicchia.
I puristi ti hanno criticato?
All'inizio molti non ne capivano il senso. Il pubblico si è visto apparire questo ventenne, che presentava un movimento nuovo, era ovvio che all’inizio non piacesse.
Prima il flamenco era una danza femminile.
La danza è ambigua, non è né maschile né femminile. Quando ballo, nel modo in cui muovo le mani, i piedi, tutto il corpo, sono una fusione di uomo e donna.
Spesso i tuoi costumi sono disegnati da grandi stilisti.
Sono stato uno dei primi a usare costumi firmati. Giorgio Armani, per esempio, mi ha vestito in tre lavori, che verranno riproposti in Calé. Penso che la moda sia un'espressione culturale, come l'architettura, il teatro.
Sei del 1969, com’era essere gitano nella Spagna degli anni Settanta?
Ho avuto problemi, ma non perché gitano, perché studiavo danza. Ogni giorno a ricreazione facevo a botte nel cortile, per difendermi dai compagni. A scuola di danza ero l'unico maschio in mezzo a 35 bambine. Mi esercitavo da mia nonna, sul pavimento di legno e i vicini si lamentavano sempre. Ero innamorato della danza sin da piccolo, e questo mi ha fatto superare ogni difficoltà.
A che cosa hai dovuto rinunciare per il successo?
La danza è stata il primo amore e ancora oggi è l'unico che dura. Ho consacrato la mia vita e sono così contento che non lo sento come un sacrificio.
Il Parlamento europeo ti ha nominato ambasciatore del popolo gitano. Che ruolo ha l’identità gitana nel mondo globalizzato?
Il mio impegno è combattere la discriminazione verso i rom. Mi batto perché non siano considerati cittadini di serie B, perché abbiano le stesse possibilità di tutti. I pregiudizi sono la cosa che mi fa più rabbia.
Con la tua arte hai girato il mondo. Qual è il paese che ti ha più colpito?
Ricevo un'accoglienza calorosa ovunque, però dico sempre che l'Italia è la mia seconda casa, dove ho trovato persone che hanno sempre creduto in me, come il mio amico Giorgio Armani.
Hai ballato nei teatri più prestigiosi. Quale ti ha emozionato di più?
Il Royal Albert Hall di Londra è stato il primo grande tempio in cui ho ballato. Avevo 24 anni e ci fu il record di biglietti venduti per tutti i dodici giorni di spettacolo. Sono venute a vedermi tante star che avevo sempre ammirato: Mick Jagger, Eric Clapton, Sting, Bono, Madonna.
Puoi raccontarci qualche aneddoto sul dietro le quinte?
Una volta, durante un importante spettacolo a Montecarlo, è venuto in camerino Michael Jackson e mi ha chiesto di insegnarli dei passi di flamenco. Poi li ho visti in due suoi video musicali.
Il flamenco è passione, anima, sangue. Qual è l'emozione più importante?
Sapere che sto ballando per mia madre, per la mia famiglia. Mi sento volare, libero come Peter Pan, ma al tempo stesso sento forte il legame con la mia gente. Mia madre è mancata due anni fa e da allora è come se una luce si sia spenta. La danza la riaccende.
Uno dei tuoi spettacoli si intitola “Mi soledad”. Soffri davvero di solitudine?
Il lavoro mi porta spesso a stare da solo. Non è facile, ma così posso pensare alle coreografie, alla mia famiglia, ai miei progetti.
Dobbiamo pensare che il flamenco è un ballo triste?
No, è sensuale, pieno di passione e mistero. È come fare l'amore, ogni volta è diverso. E poi è rivoluzionario, è l'espressione del desiderio di libertà. Mi definisco un ribelle con una causa.
I ribelli affascinano, si sa. Le lettrici di alfemminile vogliono sapere come si fa a conquistarti.
Non c'è una regola, è un insieme di cose. Mi conquista il feeling tra due persone, quando basta uno sguardo a creare intesa.
Invece a te che cosa colpisce di più in una donna?
La personalità, perché dura per sempre. La bellezza svanisce, mentre la forza, il coraggio, restano. Mi piacciono le donne decise, che hanno consapevolezza del mondo, che amano confrontarsi alla pari.
Che cosa proprio non ti piace?
Quando mi dicono sempre sì solo per farmi contento.
Uno che sa leggere le donne come pochi è Pedro Almodóvar, col quale hai lavorato.
Pedro è un grande regista, ha creato uno stile tanto personale da diventare un riferimento. Sul set è molto esigente, ma con me è stato simpaticissimo. Mentre giravamo Il Fiore del mio segreto, stavo preparando uno spettacolo con 60 ballerini, Pasión Gitana, e appena avevo un momento libero scappavo a teatro, mentre lui cercava di trattenermi. Quanto abbiamo riso per questo!
Hai girato anche in Italia in Vaniglia e cioccolato, con Maria Grazia Cucinotta, e sei spesso qui in tournée. Che cosa ami di più dell'Italia?
La cultura, che è molto simile alla nostra. Amo il calore della gente, l’accoglienza. Mi piacciono l'arte, l'architettura, e la cucina: mangerei anche tre piatti di pasta al giorno!
E quella che non sopporti?
Ce n'è una, ma preferisco tenerla per me.
Hai collaborato con tantissime star. Dicci chi ti ha colpito di più.
Ciascuna mi ha regalato qualcosa, sono stato molto fortunato a incontrarle. Sylvie Guillem, la grande danzatrice classica, mi ha dato qualcosa di speciale. Anche Jennifer Lopez.
La tua opera è stata dichiarata patrimonio dell’Unesco. Ti senti un esemplare in via di estinzione?
In effetti, sono un po' strano... scherzo! È davvero una grande emozione, perché anche quando non ballerò più, il mio lavoro e la mia passione saranno lì, conservati per tutti.
Intervitsa di Vito de Biasi
alfemminile.com
Stai presentando a Madrid il tuo ultimo spettacolo, Calé (Gitano). Di che si tratta?
È un riassunto della mia carriera, un viaggio nel passato. Dopo vent’anni mi sono chiesto: da dove vengo? dove sono arrivato? Così ho raccolto sei spettacoli e li ho rivisitati, inserendoli in Calé, che porterò presto anche qui.
Contamini il flamenco con danza classica e moderna.
Il flamenco è una cosa, la mia versione un'altra. Ho sempre cercato uno stile personale, mixando gli stili, usando gospel, jazz, araba, latina. Il flamenco purista è il mio dna culturale, ma ne ho tratto una cosa nuova. Ora sono molti i seguaci del flamenco fusion. Nella storia del flamenco, credo ci sia un prima e un dopo Cortés.
Cosa significa questa danza per te?
È un modo di sentire e comunicare. Attraverso l'espressione corporale passo una visione del mondo. È una forma di vita, per questo varia nel tempo. Modificando il flamenco ho voluto creare un discorso universale, facendolo uscire dalla nicchia.
I puristi ti hanno criticato?
All'inizio molti non ne capivano il senso. Il pubblico si è visto apparire questo ventenne, che presentava un movimento nuovo, era ovvio che all’inizio non piacesse.
Prima il flamenco era una danza femminile.
La danza è ambigua, non è né maschile né femminile. Quando ballo, nel modo in cui muovo le mani, i piedi, tutto il corpo, sono una fusione di uomo e donna.
Spesso i tuoi costumi sono disegnati da grandi stilisti.
Sono stato uno dei primi a usare costumi firmati. Giorgio Armani, per esempio, mi ha vestito in tre lavori, che verranno riproposti in Calé. Penso che la moda sia un'espressione culturale, come l'architettura, il teatro.
Sei del 1969, com’era essere gitano nella Spagna degli anni Settanta?
Ho avuto problemi, ma non perché gitano, perché studiavo danza. Ogni giorno a ricreazione facevo a botte nel cortile, per difendermi dai compagni. A scuola di danza ero l'unico maschio in mezzo a 35 bambine. Mi esercitavo da mia nonna, sul pavimento di legno e i vicini si lamentavano sempre. Ero innamorato della danza sin da piccolo, e questo mi ha fatto superare ogni difficoltà.
A che cosa hai dovuto rinunciare per il successo?
La danza è stata il primo amore e ancora oggi è l'unico che dura. Ho consacrato la mia vita e sono così contento che non lo sento come un sacrificio.
Il Parlamento europeo ti ha nominato ambasciatore del popolo gitano. Che ruolo ha l’identità gitana nel mondo globalizzato?
Il mio impegno è combattere la discriminazione verso i rom. Mi batto perché non siano considerati cittadini di serie B, perché abbiano le stesse possibilità di tutti. I pregiudizi sono la cosa che mi fa più rabbia.
Con la tua arte hai girato il mondo. Qual è il paese che ti ha più colpito?
Ricevo un'accoglienza calorosa ovunque, però dico sempre che l'Italia è la mia seconda casa, dove ho trovato persone che hanno sempre creduto in me, come il mio amico Giorgio Armani.
Hai ballato nei teatri più prestigiosi. Quale ti ha emozionato di più?
Il Royal Albert Hall di Londra è stato il primo grande tempio in cui ho ballato. Avevo 24 anni e ci fu il record di biglietti venduti per tutti i dodici giorni di spettacolo. Sono venute a vedermi tante star che avevo sempre ammirato: Mick Jagger, Eric Clapton, Sting, Bono, Madonna.
Puoi raccontarci qualche aneddoto sul dietro le quinte?
Una volta, durante un importante spettacolo a Montecarlo, è venuto in camerino Michael Jackson e mi ha chiesto di insegnarli dei passi di flamenco. Poi li ho visti in due suoi video musicali.
Il flamenco è passione, anima, sangue. Qual è l'emozione più importante?
Sapere che sto ballando per mia madre, per la mia famiglia. Mi sento volare, libero come Peter Pan, ma al tempo stesso sento forte il legame con la mia gente. Mia madre è mancata due anni fa e da allora è come se una luce si sia spenta. La danza la riaccende.
Uno dei tuoi spettacoli si intitola “Mi soledad”. Soffri davvero di solitudine?
Il lavoro mi porta spesso a stare da solo. Non è facile, ma così posso pensare alle coreografie, alla mia famiglia, ai miei progetti.
Dobbiamo pensare che il flamenco è un ballo triste?
No, è sensuale, pieno di passione e mistero. È come fare l'amore, ogni volta è diverso. E poi è rivoluzionario, è l'espressione del desiderio di libertà. Mi definisco un ribelle con una causa.
I ribelli affascinano, si sa. Le lettrici di alfemminile vogliono sapere come si fa a conquistarti.
Non c'è una regola, è un insieme di cose. Mi conquista il feeling tra due persone, quando basta uno sguardo a creare intesa.
Invece a te che cosa colpisce di più in una donna?
La personalità, perché dura per sempre. La bellezza svanisce, mentre la forza, il coraggio, restano. Mi piacciono le donne decise, che hanno consapevolezza del mondo, che amano confrontarsi alla pari.
Che cosa proprio non ti piace?
Quando mi dicono sempre sì solo per farmi contento.
Uno che sa leggere le donne come pochi è Pedro Almodóvar, col quale hai lavorato.
Pedro è un grande regista, ha creato uno stile tanto personale da diventare un riferimento. Sul set è molto esigente, ma con me è stato simpaticissimo. Mentre giravamo Il Fiore del mio segreto, stavo preparando uno spettacolo con 60 ballerini, Pasión Gitana, e appena avevo un momento libero scappavo a teatro, mentre lui cercava di trattenermi. Quanto abbiamo riso per questo!
Hai girato anche in Italia in Vaniglia e cioccolato, con Maria Grazia Cucinotta, e sei spesso qui in tournée. Che cosa ami di più dell'Italia?
La cultura, che è molto simile alla nostra. Amo il calore della gente, l’accoglienza. Mi piacciono l'arte, l'architettura, e la cucina: mangerei anche tre piatti di pasta al giorno!
E quella che non sopporti?
Ce n'è una, ma preferisco tenerla per me.
Hai collaborato con tantissime star. Dicci chi ti ha colpito di più.
Ciascuna mi ha regalato qualcosa, sono stato molto fortunato a incontrarle. Sylvie Guillem, la grande danzatrice classica, mi ha dato qualcosa di speciale. Anche Jennifer Lopez.
La tua opera è stata dichiarata patrimonio dell’Unesco. Ti senti un esemplare in via di estinzione?
In effetti, sono un po' strano... scherzo! È davvero una grande emozione, perché anche quando non ballerò più, il mio lavoro e la mia passione saranno lì, conservati per tutti.
Intervitsa di Vito de Biasi
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