“Con il sostegno di Dio, prima che questa settimana volga al termine sarò con voi in Venezuela. Il mio essere ed il mio cuore sono fortemente con il popolo venezuelano”. Con queste parole Hugo Chavez ha annunciato lunedì il suo imminente ritorno a Caracas. Sono passate tre settimane da quando il leader venezuelano Hugo Chávez ha annunciato pubblicamente la nuova operazione chirurgica per la rimozione di un tumore alla prostata, e poco più di due dall’intervento stesso. Ma serpeggia forte nel resto del mondo il dubbio sulle reali condizioni del mandatario venezuelano: un’eventuale impossibilità di Chávez a candidarsi alle prossime elezioni potrebbe favorire il giovane leader Henrique Capriles, unica figura dell’opposizione. Capriles incarna nella sua persona il simbolo della fine del potere Chavista, durato ben 13 anni, e qualora questi vincesse, si realizzerebbe nel Venezuela un rinnovamento politico senza precedenti.
Il secondo vicepresidente dell’Assemblea Nazionale, Blanca Eeckhout, ha affermato che questo nuovo intervento non è una prova per il solo Presidente, ma per il popolo intero. Tra coloro che sostengono il leader venezuelano è opinione diffusa che si debba far sentire una calorosa vicinanza a Chávez, soprattutto in queste ore che precedono il rientro. Non a caso i sostenitori del leader, quali ad esempio il ministro delle comunicazioni Andrès Izarra, oltre alla già citata Blanca Eeckhout, hanno colto l’occasione per strumentalizzare la malattia di Chávez con lo scopo di favorirne la ricandidatura. La salute del leader è divenuta centrale nella campagna elettorale, assurgendo a demagogico pretesto per chiamare all’unità nazionale il popolo venezuelano. I chavisti sperano che il popolo si lasci intenerire dalle condizioni di salute precarie di Chávez, spingendo i cittadini a riappoggiarlo alle prossime elezioni di ottobre.
La strategia di Capriles per sconfiggere l’avversario alle urne è invece opposta a quella dei governativi. Realizzando una campagna elettorale aggressiva, Capriles conta di mettere all’angolo Chávez per indurlo ad imporsi come difensore dello status quo, ricorrendo a tutti i mezzi a sua disposizione, tanto in ambito politico quanto in quello economico.
La sconfitta di Chávez potrebbe mettere in crisi il modello socialista venezuelano a vantaggio della sinistra più moderata proposta dal trentanovenne Capriles, che si ispira al Brasile di Lula. I pronostici per il prossimo 7 ottobre – data in cui si terranno le elezioni – danno Chávez come il candidato favorito. Questo anche tenuto conto dei finanziamenti illeciti provenienti dallo Stato di cui il leader si è sempre servito, comprando voti fin dal suo primo anno di mandato, per non parlare poi delle intimidazioni ai vari oppositori politici. Questi segnali di ricaduta fisica, che hanno costretto nuovamente il presidente Chávez sotto i ferri dei chirurghi cubani, non escludono del tutto la possibilità di una vittoria, ma preconizzano tre possibili scenari piuttosto interessanti per il futuro del Venezuela nei prossimi mesi.
Da un lato potrebbe non cambiare un granché, se non per il breve allontanamento del Presidente dalla scena politica, che potrebbe essere comunque seguita marginalmente da Chávez senza escluderlo dal confronto del 7 ottobre. In questo primo scenario il leader si servirebbe comunque di un uso strategico e autoritario dei mezzi di comunicazione per pubblicizzare la sua candidatura. Occorre anche considerare che un eventuale conflitto tra Israele e Iran farebbe innalzare il prezzo del petrolio e quindi della benzina, fornendo al governo di Chávez un ingente incremento di risorse per finanziare la sua campagna elettorale e comprare i voti. Non è da sottovalutare nemmeno il fatto che molti elettori potrebbero vederlo come un martire. La sua malattia potrebbe creare una sorta di “effetto compassione” che si amplificherebbe per via del potere di risonanza in mano al governo.
In alternativa Chávez potrebbe designare un successore che lo sostituisca alle elezioni del 7 ottobre, ricalcando le orme di Fidel Castro quando nel 2006 annunciò che avrebbe passato il testimone al fratello Raùl. In questo caso la politica chavista si imporrebbe comunque, anche se il leader governerebbe indirettamente attraverso un suo pupillo. Dal canto suo il regime de L’Avana sopravvive grazie ai sussidi venezuelani, quindi Cuba è certamente interessata al mantenimento dello status quo in Venezuela.
Non a caso il Presidente venezuelano è sempre andato a farsi visitare a Cuba, dove è stato poi operato di cancro la scorsa estate. Chávez sa di poter contare sull’aiuto de L’Avana per imporre un suo rappresentante, qualora le sue condizioni di salute dovessero peggiorare impossibilitandolo a presentarsi alle urne. In questo secondo scenario l’unico vero problema per il governo chavista è che fonda la sua forza sull’impatto mediatico della figura di Chávez. Se Hugo Chávez dovesse scomparire dalla scena politica in questo momento di accesa campagna elettorale, un suo sostituto potrebbe non farcela ad accattivarsi il consenso delle masse.
Il terzo scenario, sicuramente poco roseo, è che si verifichi qualcosa di analogo alle recenti vicende d’Egitto: ossia che prenda il potere una giunta militare. Un golpe dell’esercito potrebbe verificarsi qualora Chávez morisse nei prossimi mesi senza designare un suo successore. Il generale, nonché ministro della Difesa Henry Rangel Silva, è stato più volte accusato dagli americani d’esser implicato in episodi di narcotraffico. Il Ministro con molta probabilità potrebbe approfittare della situazione per impossessarsi del potere qualora il leader Venezuelano uscisse di scena. Il consulente politico Alfredo Keller sostiene che i golpisti potrebbero approfittare del trambusto elettorale, con la scusa di proteggere il Paese dal rischio d’una guerra civile.
In quest’ultimo remoto scenario, volendo sposare la filosofia di Nietzsche dell’eterno ritorno, potremmo aspettarci un effetto domino su altri Paesi dell’area vicini al Venezuela, in primis Nicaragua, Bolivia ed Ecuador. Uno scenario già visto nella storia, non da ultimo con la “primavera araba”. In caso di sconfitta di Chávez è ragionevole aspettarsi ripercussioni sull’organizzazione regionale Alianza Bolivariana para las Américas (ALBA), di cui il Venezuela è capofila e di cui proprio Chávez fu ideatore e promotore. In questo quadro, gli obiettivi di lungo periodo riguardanti l’integrazione economica e la cooperazione politica regionale – così come le ambizioni del Chavismo sul continente latino – subirebbero un duro ridimensionamento.
Alessandro Gatti [mri]
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