Da anni se ne parla dell'amianto a Palazzo Nuovo dell'Università di Torino. Ci bazzico da molti anni, prima come studente e poi come dipendente. Molti i docenti, alcuni di essi già morti di cancro, che denunciavano il fatto. Come al solito si fa orecchie da mercanti.
All'Università di Torino, ma chissà in quanti altri impieghi statali, si continua a far quello che si vuole. Corsie preferenziali, concorsi truccati, lasciapassare, ecc. ecc.
Il gravissimo discorso sull'amianto, però, lasciato in sospeso da troppo tempo.
Sono contento di lasciare questo posto per svariati motivi, anche per questo modo di fare da quarto mondo. Dopo essere stato trattato a pesci in faccia per favorire i soliti raccomandati, essere stato sfruttato per pochi euro al mese, mi rende pieno di orgoglio andarmene dove la meritocrazia è parte integrante del lavoro. L'America!
Ne avrei da raccontare e presto o tardi lo farò. Dopo un anno e mezzo in Ufficio Stampa Università potrei scrivere un libro.
Vergogna!
Ecco cosa dicono La Stampa e La Repubblica
Palazzo Nuovo potrebbe restare chiuso anche per più di dieci giorni.
Al momento è solo un’ipotesi ma non troppo inverosimile. La serrata
decisa (anche un po’ polemicamente) dal rettore Ajani vista l’inchiesta
della procura che lo vede indagato per «omissione dolosa di cautele
contro infortuni sul lavoro» potrebbe prolungarsi oltre il 27 aprile,
magari non su tutto il palazzone che ospita i dipartimenti umanistici ma
su alcune parti.
È un’eventualità talmente realistica che ieri
Ajani e il direttore generale Segreto, insieme ai tecnici
dell’Università, hanno incontrato il sindaco, alcuni assessori e
funzionari del Comune. Un vertice - erano presenti oltre venti persone -
con un punto decisivo all’ordine del giorno: che fare se l’Università
avrà bisogno di nuovi spazi in cui ospitare le lezioni e le sessioni
d’esame? In via Verdi aspettano i risultati delle verifiche dei prossimi
giorni, da cui dovrebbe emergere un quadro chiaro della situazione e
degli interventi necessari per riportare la normalità. Ma non escludono
che a Palazzo Nuovo serva una cura da cavallo e che non tutto si possa
realizzare tenendo aperte tutte le aule e garantendo una piena agibilità
dell’edificio.
A caccia di spazi
Servono soluzioni
di ripiego. È ciò su cui si è ragionato ieri. L’Università ha chiesto un
aiuto al Comune che si è detto disponibile a verificare la
disponibilità di alcune strutture di grandi dimensioni: il centro
congressi Torino Incontra, il Teatro Gobetti. Dal canto suo, l’ateneo ha
allacciato contatti con alcuni cinema. Una ricognizione che -
attualmente - serve soltanto a cautelarsi dalle cattive notizie che
potrebbero arrivare nei prossimi giorni. Compresi i provvedimenti
giudiziari.
L’Asl ha pressoché ultimato la relazione da consegnare
al sostituto procuratore Raffaele Guariniello, frutto dei sopralluoghi
ma anche di tutta la documentazione acquisita in Università. Con
risultati sorprendenti. Ad esempio questo: «Nel linoleum delle scale di
Palazzo Nuovo e nei magazzini ci sono fibre d’amianto». Lo dicono i
verbali dell’ispezione di mercoledì scorso, ma lo diceva già due anni
prima il laboratorio di tossicologia ed epidemiologia industriale
dell’Università, che ha sede al Cto ed è diretto dal professor Canzio
Romano. Nel 2013 fu chiesta una perizia su alcuni materiali provenienti
da Palazzo Nuovo. I sospetti furono confermati. Da allora si sa che
quelle scale erano potenzialmente pericolose e che andavano bonificate.
In arrivo altre sanzioni
Le analisi del Cto fanno parte del fascicolo che gli ispettori, che
venerdì sono rimasti a Palazzo Nuovo fino a notte fonda, stanno
riempiendo con documenti, mail e delibere. Bisogna capire perché a due
anni da quelle analisi il problema non è stato risolto. Non che si sia
fatto nulla: i rattoppi, qua e là, ci sono. Ma l’Asl non avrebbe mai
ricevuto, come invece prevede la legge, comunicazioni sulla rimozione
dell’amianto da parte delle ditte che lavoravano per l’Università. E, di
conseguenza, non avrebbe potuto verificare se i lavori fatti erano a
regola d’arte o alla carlona. Di sicuro non sono stati risolutivi. «La
nostra impressione è che nessuno ne abbia controllato esito e tenuta»,
dice Stefano Vannicelli, delegato sindacale dei dipendenti
amministrativi, che hanno più volte chiesto la bonifica, specie dopo
quelle analisi del 2013.
Intanto, l’Arpa ha consegnato
all’Università - con cui ha una convenzione firmata l’anno scorso e
costata 470 mila euro - la prima parte della mappatura dell’amianto a
Palazzo Nuovo. Per ora bocche cucite sulle conclusioni, ma sembra che la
bonifica dovrà essere ben più estesa rispetto ai punti indicati finora
dallo Spresal: il linoleum sarebbe danneggiato anche in altre parti
dell’edificio (alcune biblioteche) e ci sarebbero problemi anche in
certe aule. L’Università ha già consegnato un primo piano dei lavori
allo Spresal, che ora dovrà valutarlo. È praticamente certo che, viste
le carenze riscontrate dall’Asl, all’ateneo arriveranno nuove
contestazioni e anche multe.
Rischia di trasformarsi in uno
scandalo l'accordo costato 500mila euro tra l'ateneo e l'Agenzia
regionale per l'ambiente, che non avrebbe segnalato alla procura molte
criticità
di OTTAVIA GIUSTETTI
Un anno di silenzio sull'amianto a Palazzo Nuovo: inchiesta sulle "dimenticanze" dell'Arpa
Il ruolo ambiguo dell'Arpa nei controlli dell'amianto a Palazzo Nuovo, e
la consulenza da 500mila euro affidatale dal rettore Gianmaria Ajani,
finiscono al centro dell'inchiesta che ha portato alla chiusura urgente
dell'edificio: una vicenda che ora rischia di trasformarsi in uno
scandalo. Sembra infatti che, in virtù dell'accordo siglato con
l'ateneo, l'Agenzia abbia "dimenticato" di segnalare alla procura molte
altre criticità. "Dimenticato" perché nella natura stessa di quella
consulenza c'è una sospetta anomalia. Gli esperti dell'Arpa hanno prima
di tutto un ruolo super partes di polizia giudiziaria: e ogni
segnalazione, prima di tutto, devono inviarla allo Spresal (Servizio per
la prevenzione e la sicurezza negli ambienti di lavoro dell'Asl 1) e
alla procura di Torino. A maggior ragione trattandosi della presenza di
amianto in edifici che ogni giorno sono frequentati da migliaia di
studenti e personale dipendente come Palazzo Nuovo. Non, insomma, di
piccole cose risolvibili con banali interventi.
Invece, secondo
quanto emerge dai primi controlli di documenti, sembra che l'Arpa -
guidata da Angelo Robotto - abbia osservato un ostinato silenzio sul
problema amianto all'Università per quasi un anno, da quando ha assunto
il ruolo di «tutore» nella messa in sicurezza degli edifici. Forse solo
per errore, qualche giorno fa, il rapporto sulle particelle pericolose
trovate in un campione prelevato nell'impianto di aerazione di Palazzo
Nuovo è arrivato negli uffici dello Spresal che lavora fianco a fianco
con i magistrati del pool di Guariniello. Rapporto dal quale è scattato,
qualche giorno dopo, il sopralluogo con la decisione di chiudere parte
dell'edificio a studenti e dipendenti. Quanto prima si sarebbe dovuto
deciderlo? È possibile che l'Università abbia inteso di aver già risolto
la questione della sicurezza dei suoi edifici spendendo i 500 mila euro
della consulenza all'Arpa? Nei prossimi giorni il procuratore
Guariniello cercherà di chiarire se ci siano state avvisaglie di
possibili rischi per la salute delle persone prima della segnalazione
recente e perché siano state tenute confinate negli uffici ai piani alti
dell'Università. Le iscrizioni nel registro degli indagati potrebbero
estendersi anche a quei direttori che hanno ricevuto i dati sull'amianto
e non sono intervenuti per proteggere le persone che lavorano e
studiano nel Palazzo.
È questo il nuovo capitolo della lunga e
sfortunata vicenda che da anni si trascina all'Università, mentre
istituzioni anche più complesse da gestire come l'ospedale delle
Molinette sono riuscite a bonificare interi edifici senza mai arrivare
all'estremo di dover chiudere reparti. Non più di un paio di anni fa un
altro consulente nominato dall'ateneo per sorvegliare sul problema
amianto, il professore Canzio Romano, responsabile del laboratorio di
Ttossicologia dell'Università, rassicurava gli studenti e i professori
minimizzando: «Siete più sicuri stando alla vostra scrivania dentro
Palazzo Nuovo, con le finestre chiuse, che se lavoraste tutto il giorno
in piazza Castello». Romano, tra l'altro, è stato consulente per la
difesa di Stephan Schmidheiny nel processo Eternit di primo grado:
dichiarava in aula che i morti di Casale Monferrato non erano vittime
della fabbrica d'amianto. Nel giugno 2013 Romano aveva firmato un
documento, dimenticato almeno fino al febbraio 2014, nel quale parlava
del linoleum incriminato: «Le microanalisi confermano la presenza di
fasci di amianto crisotilo - scriveva nella relazione - a un'ispezione
visiva il linoleum analizzato si trova pressocché in quasi tutte le aule
di tutti i piani». Insomma l'amianto c'era, ma solo nel pavimento,
tanto che il testo concludeva dicendo: «Le indagini eseguite non hanno
evidenziato la presenza di fibre nell'aria».
La particella killer
è tornata oggetto di attenzione ufficialmente solo il 5 aprile 2015,
quando la relazione dell'Arpa, inviata all'Università e questa volta
anche allo Spresal, ha evidenziato la necessità di rimuovere il linoleum
dove è rimasto.
L'ultima grande ristrutturazione dell'edificio,
costata 17 milioni di euro, aveva infatti consentito di sostituirlo
quasi ovunque. Dal 5 aprile al blitz della polizia giudiziaria di
Guariniello sono trascorsi poco più di dieci giorni, troppo pochi per
giustificare l'inerzia che avrebbe spinto la procura a passare
all'azione. Per questo, negli interrogatori di questi giorni, si cerca
di chiarire chi sapesse del problema e della sua pericolosità e da
quanto tempo.