Giovedì 1 settembre un milione di
persone hanno partecipato alla Toma de
Caracas capitale del Venezuela, organizzata dagli oppositori del
presidente che ormai è considerato un vero e proprio dittatore Nicolás Maduro per chiedere
le sue dimissioni. Sono in molti a sostenere che si tratta della più grande
manifestazione che ci sia stata in Venezuela; non sono mancati momenti di
tensione con la polizia, che ha in parte ostacolato il corteo e che si è
scontrata con alcuni sporadici gruppi di violenti tra i manifestanti. La
manifestazione, comunque, è stata per lo più pacifica.
Ormai il 90% dei venezuelani sa che Maduro è il responsabile della profonda
crisi economica che sta interessando il paese, per questo chiedono il suo
allontanamento e nuove elezioni. La manifestazione è stata organizzata per
contestare la recente scelta della Commissione elettorale di rinviare un
referendum che potrebbe ridurre la durata della presidenza di Maduro. Occorre
ricordare che il CNE, che si occupa delle elezioni è nelle mani del partito del
governo, quindi funge da segreteria di Maduro. Le opposizioni finora hanno raccolto circa
200mila firme, pari all’1 per cento di quelle degli aventi diritti al voto nei
24 stati che formano il Venezuela. Ora chiedono alla Commissione di potere
procedere con la seconda fase della petizione, nella quale sono previsti tre
giorni di tempo per raccogliere il 20 per cento delle firme degli aventi
diritto al voto, circa 4 milioni di persone, per avere i numeri necessari per
chiedere un referendum per la rimozione del presidente. Alla consultazione vera
e propria, le opposizioni dovranno ottenere più voti di quanti ne ottenne
Maduro quando fu elettro presidente nel 2013, quindi più di 7,59 milioni.
Il CNE perde tempo,
facendo in modo di ritardare l’avvio della seconda raccolta di firme. Le
opposizioni chiedono di essere ascoltate e di potere esercitare il loro diritto
di organizzare un referendum, per far terminare prima la presidenza di
Maduro. Se il referendum sarà indetto prima del 10 gennaio 2017, si dovranno
tenere subito nuove elezioni, che le opposizioni confidano di vincere. Se
invece si arrivasse a un referendum dopo quella data, il mandato presidenziale
sarebbe già entrato negli ultimi suoi due anni e in questo caso la legge
prevede che tocchi al vicepresidente (che sta con Maduro) proseguire con il
governo del paese nel caso di una vittoria delle opposizioni alla
consultazione, fino al 2019.
In Venezuela molti beni primari non si trovano più. Il governo ha tagliato
la fornitura di elettricità e le città soffrono continui blackout e funzionano
solo poche ore al giorno (anche l’orario lavorativo dei funzionari pubblici è
stato limitato a poche ore giornaliere, per risparmiare sull’energia). Gli
ospedali cadono a pezzi: non sono più riforniti regolarmente di medicine, visto
che il ministero della Sanità ha smesso di distribuirle per mancanza di soldi,
spesso i pazienti non hanno nemmeno un posto letto e il personale medico è
costretto a lavorare senza alcune delle garanzie sanitarie minime, come l’uso
dei guanti. Sempre più venezuelani si sono rivolti al mercato nero per
recuperare medicine, cibo e altri beni di prima necessità, ma i prezzi sono
saliti moltissimo diventando irraggiungibili per molti.Tra i problemi che
stanno affrontando i venezuelani, se n’è aggiunto di recente uno molto grave e
preoccupante: la diffusione della malaria. A causa del collasso dell’economia e
dell’inflazione altissima, molti venezuelani della classe media – circa 70mila
– hanno cominciato a fare un secondo lavoro, spesso nelle miniere in mezzo alla
giungla, dove è più facile contrarre la malaria.
Negli anni Sessanta il
Venezuela era stato il primo paese del mondo a debellare la malaria, secondo
l’Organizzazione Mondiale della Sanità; oggi la malaria si sta diffondendo di
nuovo non solo nelle in tutto il paese.
Come se non bastasse, nel paese vige una
delinquenza selvaggia sostenuta dal governo che porta il Venezuela tra i primi
posti nella classifica dei paesi più violenti al mondo, mentre nella classifica
delle città è Caracas a detenere il primato con i suoi oltre 30.000 omicidi all’anno.
Anche i venezuelani sparpagliati in tutto il mondo hanno
voluto far sentire la propria voce per appoggiare la revoca del presidente e
recuperare la libertà del paese. Il 2 e il 3 di settembre si sono riuniti i
venezuelani residenti alcune città italiane: Roma, Milano, Venezia, Torino e
Napoli. Per recuperare un paese che ha
tutte le carte in regola per tornare ad essere il più ricco e avanzato dell’America
latina. Occorre mettere in libertà i troppi prigionieri politici, tra cui il Sindaco di
Caracas Antonio Ledezma e Leopoldo Lopez leader dell’opposizione e vittima di
un processo viziato da gravi irregolarità
si è concluso con una pena severissima.
Gli italo-venezuelani lamentano anche che la stampa italiana non prende in considerazione il
dramma del paese sudamericano, atto gravissimo dal momento che il paese è in piena crisi umanitaria.
Maduro resta indifferente all'agonia del paese e finge di non sapere che quasi il 90% dell'elettorato non ne può più di lui, arrivando persino a colpire di persona i manifestanti, come è accaduto ieri in una cittadina dell'isola di Margarita, dove è sceso dall'automezzo che lo stava trasportando per un comizio, ha dato vita a una scazzottata ferendo alcune persone che lo contestavano tra cui casalinghe esasuste dalla totale carenza di cibo. Si è diffusa la convinzione che abbia realmente perso la testa e che per questo non accetti di non essere gradito al popolo. Infischiandosene della Costituzione e facendosi delle leggi ad personam approvate dal TSJ Tribunal Supremo de Justicia i cui componenti sono stati scelti proprio da lui dalla sera alla mattina.
@Cosmodelafuente
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